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     Siena rappresenta nell’immaginario collettivo una delle città più ambite non solo d’Italia, ma anche del resto del mondo per la sua arte ma anche per la sua particolare struttura urbanistica.   La presenza della vita moderna negli am­bienti antichi di Siena crea problemi di difficile soluzione: molti dei compromessi che si sono tentati hanno dato cattivi risultati.  L’in­teresse collettivo della conservazione degli am­bienti storici e artistici, della tutela di una inestimabile ricchezza ideale della città di Siena, urta contro tanti altri interessi specifici, la maggior parte dei qua­li perfettamente legittimi.  È legittimo l’interesse del commerciante che vuoi installare un’insegna al neon su una parete del Trecento, dell’impiega­to che vuoi vivere o lavorare in un edificio moderno, invece che in un monumento nazio­nale, dell’impresario edile che vuoi costruire una casa o un ufficio per quell’impiegato, del proprietario di terreni che vuole lottizzarli come terreno fabbricabile, di chi vuoi usare la propria automobile anche se deve parcheggiarla di fron­te alla cattedrale romanica. Si può accusare di insensibilità tutti costoro – nello stesso tempo rallegrandosi di non essere nelle loro condizioni – ma non è facile trovare la via giusta, che non sia vessatoria, perché le cose vadano diver­samente, tradurla in legislazione e in regolamen­ti, infine, queste leggi e regole far applicare. Il problema è di competenza dell’urbanistica, in Italia anzi è fra i problemi urbanistici di maggior rilievo. Ma se tal disciplina può portare il suo contributo di dottrina e di esperienza, la soluzione, in regime di democrazia, è nelle mani dei cittadini, attraverso i loro organi rap­presentativi, anche se, purtroppo, sulle molte­plici implicazioni dei problemi urbanistici e sulla loro rilevanza l’opinione pubblica è tutt’altro che avvertita e vigile. Anche per questa loro scarsa reattività la maggioranza degli ita­liani non si è accorta che or non è molto a Siena è divampata una zuffa, cartacea ma appassionata, nella quale tutti, uomini pubblici e “particulari” si son trovati a dover prender partito.  Oggetto della zuffa la città di Siena stessa, il suo fu­turo; occasione il piano regolatore che si veniva elaborando e discutendo e in particolare il cri­terio normativo dell’espansione edilizia. Tema della contesa, in termini volgari: costruire case sull’alto dei colli o giù nelle valli; fuor delle mura in nuovi quartieri oppure – come sug­gerivano gli “Amici di Palio”, preoccupati che non vada disperso lo spirito “contradaiolo” – dentro la antica cerchia, negli orti che il pas­sante non frettoloso discopre gettando l’occhio in un vicolo, oltre un muro, attraverso l’andro­ne di un palazzo, quando percorra i corridoi di pietre antiche delle vie cittadine.  Su un punto tutti d’accordo: che l’atmosfera, l’ambiente, la magica bellezza della città andasse difesa e preservata; ma sui modi, completo disaccordo. E certo i modi pesavano più del principio e questo non fa meraviglia, perché al principio di di­fendere le città tutti si inchinano o fanno mostra, ma non si sa che vi sia dietro quest’inchino. Così si vedono sventramenti e rifacimenti, distru­zioni e costruzioni avventate; le città le ritrovi che non son più quelle di prima, ma più brutte, più scomode, più irrazionali.  In termini generali si affrontavano a Siena due diversi modi di concepire l’espansione del­la città: quella cosiddetta a “macchia d’olio” e quella cosiddetta “a grappolo” : si ripeteva cioè quella polemica teorica che è una delle fasi storiche attraverso cui l’urbanistica è passata.  L’espressione a “macchia d’olio” descrive quel­lo che è stato il processo di ampliamento di tut­te o quasi tutte le città dal XIX secolo in poi : è il gonfiarsi dell’abitato partendo dal suo ombe­lico – la cattedrale o la piazza del mercato, la borsa o la loggia dei mercanti — riempiendo uno dopo l’altro gli orti, i giardini, le piazze d’armi e ogni altro spazio fino alla diga delle mura, demolendo le vecchie case ch’erano di pochi piani per costruirne di più alte; finché il gonfiore, come fosse di un bubbone, scoppia e la città travolge, sorpassa le mura, si rovescia nella campagna, crea le uniformi periferie, in­ghiotte brano a brano campi e villaggi. 
La città avanza come un’onda di piena e spinge ai suoi orli un anello di rifiuti: baracche, squallore e miseria. L’espansione a macchia d’olio è un moto incontrollato; è il frutto di quelle leggi economiche che venivano descritte proprio negli stessi anni: prima fra tutte quella che il valore delle aree fabbricabili è, di solito, inversamente proporzionale alla distanza dal centro della città.  L’espansione “a grappolo” non altro sottin­tende che l’intervento dell’uomo nello sviluppo della città, l’affermarsi del principio che la cre­scita della città è un fatto di troppo vitale impor­tanza perché possa svolgersi con la casualità di un evento naturale, ma deve essere governato dall’intelligenza : l’urbanistica moderna nasce da questa consapevolezza. Così, per tornare a Siena, pretendere di riempire, sia pure con “opportune cautele”, i vuoti che sono rimasti tra le protuberanze del nucleo urbano e la cinta delle mura, significa voler ri­petere l’esperienza che città più grandi hanno vissuto qualche decennio o un secolo addietro e da cui han tratto, con molti mali, anche il convincimento che si deve procedere altrimenti. Ma poiché ogni città è un organismo vivo e individuato le generalizzazioni servono solo di larga approssimazione. Il problema va guardato più da vicino.  Logica struttura dell’antica città di Siena   Chi voglia conoscere rapidamente il succo dei problemi di urbanistica che si pongono a Siena non ha che da salire in cima alla Torre del Mangia. Di lassù la forma della città di­viene perspicua e, con essa, le ragioni della sua bellezza. La quale non proviene soltanto dalla presenza di singoli insigni monumenti, dal pit­toresco di vie, piazzette, vicoli e tetti, dal paesag­gio che si inazzurra nella lontananza come nei quadri dei suoi pittori, ma da tutte queste cose insieme e in più dall’essere tutta intiera una città del Trecento, dal Paverne il chiaro impianto urba­nistico e dal Pessergli stata gelosamente fedele.  Ai piedi della torre la conchiglia del Campo con la macchia verde di Fonte Gaia, il solco tra i tetti di via di Città e dei Banchi, la mole li­stata di bianco e nero del Duomo, il rossiccio San Domenico, le mura quadrilatere della For­tezza, gli alberi della Lizza, il quartiere di por­ta Camollia e più oltre le costruzioni recenti, la città che ha rotto le mura alla Barriera di San Lorenzo e l’estendersi dell’abitato verso gli impianti ferroviari; San Francesco e lontano il convento dell’Osservanza, il quartiere di Ravacciano oltre una valletta; il quartiere di Pantaneto e la valle di Follonica che arriva a lambire, tutta verde, il margine dell’abitato : quasi ovunque dove i colli digradano o strapiombano tra città e mura resta una larga zona di orti, vigne e ulivi; oltre le mura altri colli e altre valli, ville e argute costruzioni rurali; verdi cupi di cipres­si, verdi teneri di erbe, gialli di coltivi, bruni e ocre di costruzioni, profili dolci e a un tempo nervosi che riconosciamo dai quadri senesi. Qua e là qualche nota falsa, qualche edificio stri­dente, ma nell’insieme un paesaggio umanizza­to, meravigliosamente fuso e unitario. Come si può constatare da questo insostitui­bile punto di osservazione, la decisione degli an­tichi costruttori di porre la città sul sommo di tre colli, di cui il Campo costituisce l’ideale cer­niera, ha sin qui predeterminato la forma del­l’abitato. Le tre braccia di un grande Y ne sono i principali settori, percorsi nel loro asse dalle vie più importanti che si saldano alla Croce del Travaglio. L’antico centro civile, la piazza del Campo, è adiacente, ma saggiamente separato dal nodo del traffico. I tre quartieri, o più esattamente i “terzi” secondo il nome locale, che si sten­dono lungo l’asse delle vie principali occupando il crinale dei colli, sono l’uno dall’altro separati dalle profonde e scoscese valli che portano il ver­de della campagna a contatto con l’abitato ur­bano. La più recente cinta di mura racchiude in un irregolare triangolo colli cittadini e valli verdi. E a questa disposizione urbanistica e orografica Siena deve le sue sorprendenti visuali e gli improvvisi orizzonti. L’antica Siena ha acquistato la sana e logica struttura di un organismo urbanistico a settori residenziali, distanziati dal verde, che oggi si direbbe modernissimo e quali oggi l’urbanistica cerca sempre di realizzare; organismo che fa parte di Siena, opera d’arte collettiva, che è tutt’uno con i suoi monumenti e da essi è inscindibile; che è la vita stessa della stupenda città; che è infine monumento vivo esso stesso». L’antica impostazione della città di Siena sui dossi delle colline è stata rispettata anche in tempi recenti. Una “edilizia lineare” si è infatti svi­luppata lungo certune delle arterie che sulle colline senesi si annodano confluendo nelle braccia del citato Y. Ciò è avvenuto soprattutto a settentrione, sugli altipiani collinari fuori Por­ta Camollia, lungo la Cassia e in misura mino­re nelle altre direzioni, fuori Porta Romana, l’altro ramo della via Cassia, e fuori Porta Pi­spini. La spinta verso nord, estesa alle pendici della Fortezza e della Lizza, protesa anche verso la valle occidentale del Tressa, si presenta quasi come un raddoppio della città verso settentrio­ne, l’embrione di una città nuova accanto alla antica di cui la zona intorno a piazza Matteotti e alla Lizza è, a un tempo, il centro in formazione e l’anello di  congiunzione  con  la città antica. Tuttavia gli urbanisti hanno rilevato che la espansione lineare verso settentrione ha rag­giunto il limite massimo consentito dalle di­stanze e F “edilizia ora tende a ripiegare sul corpo stesso della città e torna a guardare al vecchio e al nuovo centro urbano, cercando af­fannosamente aree più prossime, anche a costo di maggiori difficoltà urbanistiche, minacciando il soffocamento e l’annullamento del sistema” tende soprattutto, e questo è il pericolo maggio­re, a calare nelle valli di cui le erte pendici non sono più un’efficace difesa. La situazione era quindi giunta al punto in cui si rendeva necessario un’intervento organico mancando il quale si correva il rischio di un completo sna-turamento del carattere ambientale della città.

Settembre 11th, 2009 by