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Le ultime vicende della Certosa di Pisa

 Le ultime vicende relative alla Certosa di Pisa

Chiudendo gli occhi alla luce nel 1797 dopo trent’anni di Priorato, il Padre Maggi poteva esser ben lieto della trasformazione veduta in gran parte degli edilizi Monaatici. La Certosa di Pisa come oggi si presenta è quale egli la volle. E della decorazione di altre parti secondarie, specialmente delle Cappelle dove ebbero a lavorare pittori e decoratori di Pisa e di Livorno sino agli ultimi del secolo XVIII, sarà detto nella descrizione del monumento. Una cosa sola però da lui ideata nel 1794, per la quale aveva non solo studiato e discusso i disegni ma anche cominciato a provvedere i materiali, dovè arrestarsi: la costruzione di un nuovo campanile in sostituzione dell’antico, più che mai divenuto ruinoso. Gli eventi politici di Francia minacciavano i beni posseduti dalla Certosa in Corsica; il Direttorio si affrettò ad incamerarli senz’altro, e coll’invasione francese in Toscana nel 1799 il Monastero dovè subire la sorte degli altri corpi ecclesiastici. Il Decreto Napoleonico (23 marzo 1808) di soppressione degli Ordini Religiosi in Toscana disciolse la Comunità Certosina che dovè riparare a Pisa nel già convento dei Vallombrosani di S. Torpè, poi nel 1810 i Monaci si dispersero prendendo l’abito di preti secolari. E facile a immaginare la spoliazione delle suppellettili, dei sacri arredi, e delle opere d’arte ordinata dal Demanio francese. Le argenterie, la biblioteca ricca di codici preziosi e di volumi rarissimi, le tele degli altari, le sculture, le campane e perfino la balaustrata marmorea del presbiterio furono posti in vendita. L’edificio conventuale fu risparmiato, forse per espresso volere del Bonaparte, al quale l’8 dicembre 1807 la sorella Elisa Baciocchi principessa di Lucca e di Piombino l’aveva chiesto come casa di villeggiatura nel progettato ampliamento dei suoi Stati. Ritornati i Certosini nel 1814 nel periodo della Restaurazione, qualche cosa fu potuta recuperare, ma per la perdita di quasi tutto il patrimonio immobiliare, la loro attività edilizia si dovè limitare alla manutenzione ordinaria delle fabbriche. Nel 1826 furono acquistati dalla soppressa Certosa di Farneta l’angelo di marmo che serve da leggio nel coro e la sedia ad intagli e tarsie policrome oggi posta a destra nell’abside. Nel 1827 si tentò un rinsaldo del campanile che poi nel 1854 si dovè definitivamente abbattere. In conseguenza della legge 7 Luglio 1866 la Comunità Certosina di Calci era nuovamente disciolta. La custodia degli edifizi colle loro adiacenze e oggetti d’arte fu affidata ad un Monaco Soprintendente, e quella dell’Archivio ad un Monaco Archivista il quale custodisce le pergamene soltanto, perché i libri di amministrazione – di grande pregio e del massimo interesse per la storia del Monastero e per quella delle abbazie benedettine di Gorgona e di S. Vito – passarono all’Archivio di Stato in Pisa, con un criterio degno di tempi ormai sorpassati. Parte del Monastero servì per villeggiatura al R. Conservatorio di S. Anna, ed a più riprese venne affacciata la proposta di destinare la Certosa ad uso di Manicomio ! Poi vi tornarono più numerosi i Certosini, ma come custodi riconosciuti dal Ministero della P. Istruzione. Chi visita oggi la Certosa, ne esce pieno di ammirazione per la generosa sollecitudine con la quale essi assolvono il compito affidato. E se lo spazio ce lo consentisse vorremmo enumerare ad una ad una le opere di ripristino compiute nelle parti più notevoli, come il continuo succedersi di restauri e di miglioramenti, a testimoniare l’amorosa cura di questi singolari custodi che spendono del proprio con signorile larghezza. Almeno una fra le tante ne vogliamo ricordare, inaugurata nel 1930: il rinnovamento degli stalli nel coro dei Conversi, a destra del vestibolo, ed il completo restauro del coro monacale. È tornato in esame il progetto del nuovo campanile secondo il disegno del secolo XVIII. E il desiderio che possa compirsi è di tanti e tanti; vorremmo dire di tutti, perché quelle volontà e quella fede che creavano le opere d’arte di un tempo, oggi per fortuna della nostra Nazione si riaccendono e daranno i loro frutti.

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