Toscana Vacanze Online

La Certosa di Pisa e le vicende costruttive

 La forma primitiva della Certosa di Pisa

Coi beni di un pisano, Pietro di Mirante della Vergine, arricchitosi nei traffici in terra d’oltre mare, distinto in patria per uffici pubblici e specialmente per l’Anzianato del proprio quartiere “Forisporte” ebbe inizio la Certosa di Pisa verso la fine del secolo XIV.

A quel tempo cinque Certose esistevano già in Toscana: nel senese, a Maggiano, Belriguardo, Pontignano; quella di Firenze in Val d’Ema e quella di Farneta presso Lucca.  Venendo a morte nel 1366 senza prole, chiamò erede delle sue sostanze coll’onere di far costruire il Cenobio un sacerdote amico, Nino di Puccio, che era in corrispondenza epistolare con S. Caterina da Siena, Ed in pieno accordo coll’Ordine Certosino e coll’Arcivescovo di Pisa Francesco de’ Moricotti, fu scelto il luogo alle radici del colle della Muffola tra Calci e Montemagno dove si apre una insenatura. Valle buia : questo nome col quale vien designata nelle carte fa pensare ad un tratto boscoso, singolare eccezione per quella catena di placidi colli dove 1’olivo domina per ampie zone. Il terreno restituito al sole ed al ciclo, fatto sacro per la fondazione monastica dedicata alla Vergine Maria ed a S. Giovanni Evangelista, volle l’Arcivescovo che si avesse a denominare “Valle Graziosa,, ; è questo il titolo adoperato fin dal 1368 all’atto dell’eleggere il primo Rettore del Cenobio; oggi lo si estende anche ad un tratto più ampio del paese. L’ opera ebbe copia d’aiuti fin dal suo nascere. Ricordiamo fra i tanti gli Orselli, i Crovario, i Delle Brache, i Visconti, i Benincasa, gli Agliata, i Ciampolini, i Gambacorta, famiglie della nobiltà e della borghesia pisana che donando terreni in vai d’Arno, in vai d’ Era, nel piano di Livorno e specialmente nel calcesano, contribuivano alle costruzioni in corso ed assicuravano la vita alla comunità religiosa. E così dentro un ampio recinto, chiuso nel 1370 da un muro a monte ed a valle, il Monastero in meno di trent’anni aveva raggiunto la forma tipica di tutte le case Certosine: la Chiesa (1376-1386), varie Cappelle adiacenti (1776-1778), il chiostro retrostante con le celle per i Monaci (1375-1392), il Refettorio (1378), l’abitazione per i Fratelli Conversi (1383), il Capitolo per le riunioni al lato alla Chiesa (dopo il 1386), una Foresteria (1392).  Degli artefici che operarono alla Certosa il primo che ci sia noto è Piero di Giovanni da Como. A lui il Monastero affidava nel 1392 dei lavori da compiere alla facciata ed ai fianchi della Chiesa. Nell’atto di allogazione compaiono come testimoni Beltrame di Valsoldo da Milano e Lanfranco da Sessa di Como che dovevano essere suoi collaboratori. 


Piero da Como lavorava alle mura di Porto Pisano “alla torre del magnano” nel 1395. I danni prodotti ai possessi del Convento nelle valli dell’Era e dell’Arno dalla guerra con Firenze fino alla caduta di Pisa (1406) furono assai presto riparati. Nel 1440 si costruivano celle nel chiostro, era edificata la scala per l’accesso alla Chiesa dall’esterno (1457), opera anche questa di maestranze comacine; un maestro riputato di intagli e di tarsie – Iacopo di Marco da Lucca che più tardi opererà anche nel Duomo di Pisa insieme a Cristofano d’Andrea da Lendinara – eseguiva gli stalli del coro; uno dei settignanesi che con Isaia da Pisa e Mino da Fiesole sotto Pio II decoravano di marmi la loggia di San Pietro, Lorenzo da Settignano edificava in pietra serena nella Certosa (1471) il piccolo chiostro fra la cappella del Colloquio ed il Refettorio, e poi l’ordine superiore di un altro chiostro prossimo alla cella priorale. Bartolommeo d’Andrea di Scarperia, che lavorava di vetri istoriati nel Duomo, era chiamato a decorare le finestre del Colloquio e del vicino loggiato ; anche per il porticato del quartiere priorale (1482) e per altri lavori si ricordano maestranze lombarde, emiliane e calcesane occupate a preparar nuove celle (1488), a rinsaldare la tribuna del tempio ed a più riprese il campanile trecentesco che gravava col peso sul muro della Chiesa, a far vetriate in colori per la sagrestia. Con questi artisti possiamo dire che il bel ciclo della Rinascenza stendeva un lembo sul Monastero di Calci. Il quale per la pietà di nuovi be­nefattori, primo fra tutti Lotto di Coscio Gambacorta, e per avere raccolto l’eredità dei monasteri be­nedettini di S. Vito in Pisa e di Gorgona assegnati da Gregorio XI all’Ordine Certosino, vedeva la propria dotazione accrescersi di possessi fondiari, d’immobili e di decime in Corsica, in Val d’ Era, nel Piano di Pisa, nel territorio di Livorno e in città di Pisa ; il più considerevole nucleo patrimoniale era formato dalle proprietà di Montecchio e di Alica, appartenute un tempo ai Gambacorta. La nuova guerra che portò alla seconda caduta di Pisa (1509) ed al ristabilirsi del potere Mediceo in Firenze, aveva danneggiato assai il patrimonio fondiario della Certosa. Per questo, 1’attività dei monaci fu rivolta a riparare le perdite ed alla manutenzione degli edifici. Si ha però notizia di un polittico dipinto per l’altare della Chiesa (1556) da un Gian Paolo pittore e scolpito da un Tiberio di Siena (1552) : artisti che non è dato di identificare anche perché il loro lavoro andò perduto. Mentre di un altro pittore, Tommaso de’ Romani, che per la Certosa dipinse nel 1557 due tavole da altare, queste pure scomparse, si sa che appartenne ad una maestranza bolognese. Nel 1558 furono fatti dei dipinti al Capitolo e fu scolpita una fontana nel gran chiostro. Nel 1600 si rinnovava il pavimento al presbiterio.

Exit mobile version