La Certosa di Pisa dopo il seicento

Quale doveva essere finora l’aspetto del Monastero di Pisa, tirato su in laterizi sullo sfondo montano, è facile immaginare. Ad una vasta opera di abbellimento che va dal 1606 fino alla soppressione napoleonica del 1808 è dovuto l’odierno stato edilizio e decorativo di quasi tutta la casa. E vien fatto di domandarci perché quel tenace bisogno di rinnovare e di decorare non fosse sentito in altri tempi nei quali i pregi dell’arte avrebbero lasciato manifestazioni incomparabilmente migliori. Ma in quei tempi il Monastero di Pisa era ben lontano dalla tranquilla agiatezza che ora gli consentivano le sue terre migliorate e i suoi beni ricuperati per ampie zone nel pisano, nel livornese ed anche in Corsica. Eletto priore nel 1601 il ferrarese Don Teofìlo Caucciù, manifestò il programma di “riformare, restaurare, accrescere e ridurre a miglior forma e perfezione le fabbriche antiche”. E lo incoraggiavano le condizioni della casa, il favore dei Pontefici e le immunità tributarie concesse dal governo fiorentino.


Ed ecco che si alternano dal 1606 al 1614 gruppi di maestranze fiorentine e pisane a costruire una Foresteria, a decorare di architetture i piccoli chiostri, a lavorare nelle loggette delle celle. Frati Gesuiti lavorano di vetri, maestri d’intaglio operano ai banchi della sacrestia, viene ampliato il piazzale esterno, il fiorentino Poccetti dipinge tele per le cappelle dopo di aver frescato nel Refettorio l’Ultima Cena (1611). Nel 1618 si pensava ad un altro lavoro di maggior mole: il rialzamento del piano delle celle e la sostituzione di un colonnato marmoreo all’antico chiostro in laterizi. Quelle, per la natura stessa dell’edificio appoggiato al pendio di un colle, erano danneggiate dall’umidità; il chiostro di Pisa, ottenuto con parziali costruzioni di porticato dinanzi alle porte delle celle, difettava del necessario collegamento organico. Non esitiamo a chiamar colossale questo piano di opere. I monaci andarono ad abitare nelle altre fabbriche e fu sospesa l’accettazione di novizi nonostante che un ordine della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari consentisse di riceverne anche dalle provincie desolate dalla peste del 1630. Il rialzamento delle celle era condotto a termine nel 1634 ; a fine di dicembre di quell’anno un altro Priore, Don Tiberio Tantei stipulava il contratto per la ricostruzione del gran chiostro con Andrea Monzoni commerciante di marmi a Carrara e con lo scultore pisano Gian Battista Cartoni. Un certosino oriundo senese, Don Feliciano Bianchi, Procuratore della casa, aveva preparato il disegno. Ma né il Tantei né altri tre Priori a lui succeduti, che non risparmiarono spese perché il chiostro riuscisse di una eleganza peculiare, poterono vederlo compiuto. Occorsero quindici anni di lavoro (1636-1651) durante i quali fu costruita la cappella del Priore (1642) e si gettarono i fondamenti per la nuova fontana su disegno creduto dello stesso Padre Bianchi. Ma per la morte di lui, avvenuta quando il chiostro di Pisa era ormai avviato alla fine, la fontana rimase interrotta; doveva essere ripresa più di trent’anni dopo (1682) con altri intendimenti artistici un po’ contrastanti col bello stile che forma del chiostro un monumento di mirabile eleganza.

Marzo 26th, 2009 by